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Progetti di vita… cioè?

A forza di sacrificare l’essenziale per l’urgenza, si dimentica l’urgenza dell’essenziale. Edgar Morin

Mi sveglio e mi viene in mente un progetto nuovo.

Del tipo: mi propongo per fare volontariato per quell’associazione che ho visto pubblicizzata in biblioteca: fare un po’ di compagnia agli anziani che vivono soli. Oppure, appena il mio giro di lavoro come copywriter aumenta, fino a darmi sostegno pieno, mi trasferisco in Thailandia a fare la nomade digitale. E se invece provassi a vivere a Bologna, città decisamente più vivibile (ed economica!) rispetto a Milano?

Non sono una persona stanziale: l’ho capito nel tempo. Mi piace spostarmi, esplorare, vivere città diverse, conoscere persone nuove. Stupirmi spesso e con costanza – per quel che ho attorno. Vorrei essere stanziale ma non lo sono: e sto imparando ad accettarmi per come sono.

A volte però, i progetti rivolti al futuro prendono il sopravvento sulla quotidianità, sul presente: divento inquieta, mi piglia l’urgenza di un diverso, di un altrove, inizio a farmi mille domande: e se qui e ora non fosse la cosa più giusta per me? Sarà che il mio corpo mi parla spesso, e io sto imparando ad ascoltarlo: se non sta bene, se si agita troppo, se sale l’ansia, c’è qualcosa che non va. Qui e ora. E allora va cercata una soluzione – nel qui e ora che mi agita.

Quando i progetti rivolti al futuro prendono il sopravvento e prendo ad agitarmi assieme a loro, nella mia testa, nel mio corpo,  mi chiedo mille volte al giorno: ma il mio “vero”, “grande” progetto, qual è? In mezzo a tutta la mia confusione progettuale. Dove sta la mia direzione? E il mio centro? Mi capitano ciclicamente questi momenti di confusione, in cui sembro perdere la centratura. Ma cosa vuol dire essere “centrati”, poi?

Ho passato un weekend a casa di mia sorella, che porta avanti, gestisce e cura, da sola, una casa e due figli adolescenti. Mentre io mi perdo in pensieri progettuali e di direzione e centrature di vita, lei ha già fatto tre lavatrici. Prova a seguirmi nelle riflessioni che condivido con lei, ma dopo un po’ si perde: sta pensando a cosa cucinare per cena stasera e pranzo domani. Perché due figli adolescenti richiedono cibo in quantità, e spesso. Mentre io mi perdo in pensieri sul senso della (mia) vita, lei ha già pulito casa e portato a spasso il cane. Si sta programmando per portare all’allenamento di calcio il grande, e subito dopo il piccolo – e nel mentre pensa a cosa mettere in valigia, per la sua fuga di due giorni (salvifici!) nella sua città del cuore, per rigenerarsi. Prendersi cura di sé – ricordarsi che esiste.

A casa di mia sorella, tra le richieste – concrete – di due figli adolescenti che hanno allenamento di calcio tre volte a settimana, un cagnolino che vorrebbe uscire a tutte le ore, e la spesa da fare sennò non si mangia, mi rendo conto che il nostro progetto di vita, siamo noi. Il nostro “vero” progetto di vita siamo noi, nelle piccole cose che ci ritroviamo a compiere ogni giorno, giorno dopo giorno.

È proprio vero, quel che osservava oggi confrontandosi con me, lo scrittore Michele Benetello: “Quello che ci serve l’abbiamo nel nostro perimetro, quello che ci siamo faticosamente costruiti.”

Penso alla famiglia che si è creata mia sorella. Penso alla vita nomade che mi sono creata io. Ognuno sta dentro il proprio spazio di vita e relazioni. Di luoghi, persone, abitudini e rituali. Viviamo spazi che ci siamo scelti (siano la stessa casa per tutta la vita, che 12 case diverse in 12 anni). L’emozione arriva nel riconoscere che ogni spazio che ci siamo costruiti, ha un valore. È il nostro progetto, piccolo o grande che sia. Importante perché nostro, unico, costruito con varie fatiche e gioie. L’emozione arriva quando gli spazi-progetti nostri e degli altri si intersecano. Come in questi due giorni, in cui il mio spazio-progetto ha incontrato quello di mia sorella, dei miei nipoti. Ci siamo scambiati non solo parole e risate, ma piccole azioni dei rispettivi spazi-progetti, fino a farle amalgamare tra loro, per farsi un’armonia di spazi-progetti più grande. Condivisa.

È proprio vero, quel che osservava oggi confrontandosi con me, lo scrittore Michele Benetello: “Sono arrivato alla conclusione che coltivare il proprio essenziale sia già una gran conquista.”

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