Open. La mia storia – Andre Agassi
Cristina Di Loreto
Andre. Dopo aver letto la sua storia lo immagino così, con il suo nome di battesimo e le sue cicatrici. Andre racconta la sua storia attraverso la penna di J.R. Moehringer, vincitore di un Pulitzer, e lo fa, inevitabilmente, in maniera meravigliosa. Ammetto che dall’inizio alla fine ho pensato che se fosse stato lui l’autore, avrebbe potuto fare lo scrittore tanto quanto il tennista.
In questa rubrica descriverò le storie di vita che leggo attraverso concetti psicologici. Questo mi permetterà anche di descrivere concetti psicologici attraverso le vite dei grandi.
Un po’ conoscerai anche me e la mia storia: ammetto di non essere una grande sportiva, e la mia aspettativa nell’approcciarmi al libro era quella di leggere di grande vittorie, di una passione travolgente e una vita ricca di feste e povera di preoccupazioni.
Le prime parole sono: “La Fine. Apro gli occhi e non so dove sono o chi sono. Non è una novità: ho passato metà della mia vita senza saperlo”. Ah, interessante mi dico, e ammetto che dalla prima frase all’ultima il libro è coinvolgente, ricco di colpi di scena e condito da una fotografia famigliare e psicologica del protagonista davvero insolita.
Sono tre i concetti psicologici con i quali vorrei raccontarti questa storia:
- Resilienza
- Impotenza appresa
- Ribellione adolescenziale
La storia del libro inizia dalla fine, la fine di una carriera, il ritiro, la fine di quello che è stato un cammino tormentato e allo stesso tempo l’unico che poteva essere scritto per Andre.
Quando parlo di resilienza, mi rifaccio sempre alla personalità resiliente presentata dallo psicologo Pietro Trabucchi nel 2000. Secondo Trabucchi, tale personalità possiede 4 capacità:
1- Alto senso di controllo
2- Alta Tolleranza alla frustrazione
3- Capacità di ristrutturazione cognitiva
4- Attitudine alla speranza
Andre attraversa un’infanzia complessa (difficile anche definirla infanzia, per certi versi), figlio di un padre padrone che lo cresce con l’obbligo di diventare il campione di tennis (che lui stesso e i fratelli maggiori non sono mai diventati). I continui allenamenti, i campi costruiti in giardino, l’essere spedito lontano da casa per allenarsi, un rapporto padre-figlio arido, monolitico, rigido e nervoso. Andre deve imparare fin da piccolo il significato di disciplina, controllo, e questa dimensione diventa nel tempo un tratto ossessivo che lo rende un perfezionista, uno che spesso preferisce rovinare tutto piuttosto che portare avanti una perfomance mediocre.
Sappiamo che gli sportivi sono altamente resilienti, e il primo capitolo del libro si concentra sulla tolleranza alla frustrazione. Gran parte della vita di questo atleta è stata dalla frustrazione, fortunatamente ribilanciata dall’adrenalina di un talento ben valorizzato. Pensa solo che Andre Agassi odiava il tennis, e nel suo racconto questo aspetto risuona forte come il suono della palla colpita dalla sua racchetta.
Andre era molto bravo anche a ristrutturare alcune situazioni, come la sua presenza alla Bollettieri Academy, che da prigione contenitiva diventa il suo biglietto per il successo – anche grazie alla sua capacità di interpretare le situazioni e osservarle da diverse angolazioni.
Non ultima l’attitudine alla speranza: leggerai spesso, ma non sempre, della speranza di vincere, di emergere e di trovare la propria strada.
Questa storia ti farà sentire sulla pelle la frustrazione, il dolore, la paura di non farcela e di deludere, la rabbia delle ingiustizie. Ma anche tanta tenerezza rispetto a un talento scoperto troppo giovane. Anche per questo credo che il concetto di impotenza appresa sia interessante: quella sensazione che il soggetto prova di non poter cambiare la situazione, di non avere il controllo della situazione. E se questo si legge forte nei primi anni di questo incredibile atleta, sarà proprio quella rabbia per una vita scritta a diventare nel tempo la sua firma, il suo tratto distintivo, il suo essere l’enfant terrible.
Nelle pagine di Open si leggono spesso i comportamenti ribelli del tennista, le fughe, i piccoli incendi sedativi di emozioni negative, le scorribande con gli amici e il bisogno di un’adolescenza spensierata che non potrà più tornare. Andre inizia a trovare una direzione quando conosce Gil, che diventerà una figura paterna, che lo guida, lo cura, lo istruisce e lo riscatta da un padre ossessionato dal tennis e da un coach direttivo e incapace di connessione emotiva. La ribellione adolescenziale, i calzoncini color lava hot, i capelli da rockstar diventano presto solo una piccola distrazione rispetto a un ragazzo che, nella difficoltà di un rapporto famigliare viziato, deve piano piano costruire la sua strada.
E ce la farà, ce la farà alla grande – ma su questo non voglio togliere nessuna sorpresa.
Un libro da leggere, da visualizzare in ogni suo scambio, in ogni suo match, un libro con cui emozionarsi e attraverso il quale capire che “l’immagine non è niente”.
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