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Vedi Napoli e… ti mangi una frolla!

Chi ha panza, ha danza - proverbio napoletano

Napoli è cibo, calore, chiacchiere.

L’ho capito appena Gaia, l’aspirante nomade digitale in partenza per lavoro che mi lascia casa nel quartiere Sanità, mi ha coinvolta con fare entusiasta e loquace nel primo giro esplorativo di Napoli, con una dolce sosta alla pasticceria di quartiere Primavera.

Lì mi ha spiegato la differenza (fondamentale!) tra sfogliatella frolla riccia e liscia, proponendomi un giusto assaggio. Ah, quell’aroma particolare che nasce dal felice incontro tra ricotta e semolino, segno di goduria massima per il mio palato!

Sono arrivata a Napoli come una vera donna del Nord: cappottino grigio melange e trolley con le rotelle. Ho continuato a fare la donna del Nord appena sbucata da Napoli Centrale, alla ricerca della linea 2 della metro, ma attorno a me non trovavo nessuna grande M rossa in stile milanese, solo vari dipendenti di Trentalia, e tornelli da stazione dei treni. Ed erano esattamente quei tornelli che mi avrebbero portata alla metro di Napoli, la linea 2, che, mi ha poi spiegato Gaia, è la più antica della città, la linea storica, che in effetti con i suoi treni-treni somiglia più al passante milanese che alla metro.

In un battibaleno il treno mi ha portata alla mia fermata, Cavour, dove mi sono subito accorta che la scelta del trolley con rotelle non era stata delle migliori: davanti a me – o meglio, ai miei piedi! – una miriade di sanpietrini sghembi e un labirinto di vicoli stretti stretti da condividere con scooter e motorini. Inutile dire quanto mi sono sentita estranea e fortemente austro-ungarica con il mio cappottino grigio melange e il mio trolley a rotelle!

Ad accogliermi in casa, invece, l’abbraccio caloroso e festoso di Gaia, all’interno di un caratteristico edificio a ringhiera, con suggestiva scalinata a vista, che scopro chiamarsi “ad ali di falco”, e una suddivisione degli spazi che, nella mia ignoranza architettonica, mi viene da definire dinamica e simpaticamente irregolare.

Sono emozionata: questa è la mia prima vera esperienza da nomade digitale – persona che si porta il lavoro con sé in giro per il mondo, che svolge in libertà ovunque tramite portatile e connessione internet, dedicando il tempo libero a esplorare luoghi e conoscere gente del posto. Questo mio desidero di “libertà lavorativa in viaggio” è nato dall’incontro letterario con Gianluca Gotto durante la pandemia, una vera svolta professionale per me: il suo libro autobiografico Le coordinate della felicità mi ha fatto scoprire la figura del nomade digitale, oltre a tante comunità di nomadi digitali che si incontrano e relazionano dal vivo in Italia e nel mondo, e in gruppi sui social da remoto. Una vera famiglia di lavoratori con radici portatili!

Io e Gaia ci siamo “sentite” subito, e infatti dopo una prima vivace chiacchierata in casa ci siamo ritrovate fuori al tepore del pomeriggio, a scorrazzare lungo via Duomo, attraverso via Dante e Piazza Bellini fino a Spaccanapoli, scoprendo che il quartiere Sanità è molto ben collegato al centro storico.

Sotto la guida attenta di Gaia, contagiata dal suo amore per la città che l’ha vista nascere e crescere, ho fatto le mie prime scoperte, con la mia innata curiosità antropologica. Napoli è il colore dei suoi murales e dei suoi panni stesi. È il calore della sua gente, sempre pronta alla battuta. È buon caffè da assaporare ovunque, dall’aroma energico. È dolci che spuntano ovunque da bar, panifici e pasticcerie, pizze di ogni tipo a ogni angolo. Napoli è musica per strada, che tu lo voglia o meno (c’è un tizio che vive cantando alla finestra da mattina a sera, accanto a una famosa pizzeria: quello è il suo lavoro, mi spiegava Gaia). Napoli è sapori e odori e grida, una nuvola carica carica che ti avvolge e ti porta via con sé – solleticandoti i 5 sensi (e oltre!). 

Stamani mi sono alzata presto, come piace a me, e davanti a un intenso caffè di marca napoletana locale mi sono messa a tradurre una pagina che pubblicizza una serie di ristoranti siciliani. Tradurre la Sicilia a Napoli: che gran bel miscuglio! Finita la mia traduzione, mi sono avviata fuori dal mio vicoletto e dentro l’allegra confusione del mercato dei Vergini, aperto tutti i giorni, prendendomi delle fragole fresche, dall’apparenza dolce e succosa, e fermandomi a fare una foto a un murales del Napoli calcio.

Ed è esattamente in quel momento che sono stata “riconosciuta” – beccata! – in tutta la mia turisticità da un’allegra anziana che si è fermata e mi ha guardata con un sorriso, mettendosi a intonare un “Vedi Napoli e poi muori lalalala!”. La simpatica canzoncina ha avuto il suo effetto: dopo 5 minuti ero a passeggio con Anna, che vive sul Vomero collinare, ad accompagnarla a vedere la chiesa di San Vincenzo ‘O Munacone (il monacone), che custodisce una famosa statua di San Vincenzo Ferrer, e che poi ho scoperto chiamarsi formalmente Chiesa di Santa Maria della Sanità.

Devo fare una rivelazione: chiacchierando con Anna del Vomero, non sono riuscita a capire ogni sua singola parola. In compenso, ho capito altre cose: la sua generosità nel raccontarmi del quartiere (la stessa di Gaia), l’amore per la sua città (lo stesso di Gaia), la gioia vitale (la stessa di Gaia) nel raccontarmi di sé, di aver ricoperto un ruolo manageriale per il comune della sua amata città, per tanti anni, e di godersi ora la pensione, con opere di carità e volontariato – compresa l’esplorazione assieme a me!

Sulla via del ritorno, non ho potuto fare a meno di fermarmi nella rinomata pasticceria Poppella, dove è nato il fiocco di neve

La ricetta esatta pare non si conosca, ma appena lo mordi, a sorprenderti con dolcezza è una crema vellutata, bianca e leggera, un misto di crema chantilly e ricotta di pecora. Napoli è decisamente il regno della ricotta!

E per restare in tema formaggi, sono passata a prendermi per cena una bufala freschissima alla gastronomia Bucciarone, dove il titolare mi ha ricordato, serio serio, “che la bufala fresca non va messa assolutamente in frigo.”

Per il pranzo che si avvicinava, invece, ho optato per qualcosa di veloce e saporito: esattamente sotto casa, c’è un minuscolo negozio di alimentari, nascosto nel vicoletto ma frequentato con assiduità da gente a piedi e su due ruote. Lì ho preso in assaggio il famoso salame napoletano, racchiuso in un morbido panino all’olio. Assieme alle fragole del mercato e il fiocco di neve, il mio pranzo di oggi è pronto: panino con salume tipico, frutta nostrana e dessert locale.

fiocco di neve dolce di Napoli e salame napoletano

Sono appena arrivata ma Napoli e la sua gente mi avvolgono – e io mi lascio avvolgere. Esploro le sue vie e mi prende un senso di inebriante leggerezza. Mi fermo a parlare con commercianti, librai, baristi. Oppure me la godo in silenzio.

Forse aveva ragione Anna Maria Ortese, che Napoli l’ha conosciuta bene per averci vissuto a lungo, quando scriveva che:

Di solito, giunti a Napoli, la terra perde per voi buona parte della sua forza di gravità, non avete più peso né direzione. Si cammina senza scopo, si parla senza ragione, si tace senza motivo.

(Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, 1953)

 
 
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